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Guido Mattioli- Ali d'Italia sull'Atlantico

Guido Mattioli- Ali d'Italia sull'Atlantico

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L'"S 55" e il suo X Anniversario

Riportiamo anche questo bell'articolo dell'Ing. Marchetti geniale progettista del formidabile « S. 55 X. »:

E' un peccato di immodestia, di cui chiedo venia ai miei colleghi costruttori, quello che io commetto interloquendo qui per ordine superiore nel ricordare un po' la storia di un'idea originale, e del dibattito che attorno ad essa si crea prima che si guadagnasse il suo diritto di esistere.

Ma poichè oggi si vive in queste pagine il compiacimento di dieci anni di lavoro cosi ben spesi per l'onore dell'Aeronautica fascista, e poichè si commemorano le opere, gli uomini ed i mezzi, non è fuori luogo che dell'S. 55 che di tutte le macchine aeree italiane fu la fedelissima, qui un poco si racconti.

E' grande ventura ed altamente significativa questa, che tale macchina festeggi anch'essa in quest'anno il suo anniversario decimo.

Essa ha dato all'Italia fascista in questo tempo 14 records mondiali e 15 transvolate atlantiche sulle quali primeggia memorabilissima per significato e potenza, l'impresa aerea di S. E. Italo Balbo.

L'assunto di raccontare di questa macchina è per me delicato ed imbarazzante. Mi sia consentito di assolverlo senza falsa modestia in compenso delle dure battaglie che io dovetti vincere per essa. Battaglie, dico subito, che poterono prodursi solo nel periodo ancora iniziale della rinascita fascista in momenti di incertezze tecniche ed amministrative, quando il Commissariato non era ancora il Ministero, ed a capo non aveva un pi-lota, capace di giudicare da solo, ani-matore e volitivo come S. E. italo Balbo.

Il progetto dell'S. 55, fu da me iniziato nel 1922 per adire al Concorso bandito tra i costruttori di idrovolanti dal Commissariato di Aeronautica dell'epoca su questo tema: « Idrovolante d'alto mare lancia siluri ».

Forte essendo in quei tempi e giusta la critica contro le consuetudini di adattare a specialità belliche apparecchi non espressamente concepiti, talchè l'imperfezione originaria generava fatali insormontabili deficienze di servizio, la mia preoccupazione primordiale, la mia ossessione direi, fu quella di inquadrare il progetto in modo che, quanto più possibile, riuscisse immune da simile pecca. Per questo una via alquanto diversa dalla normale fu da me seguita nello sviluppo logico della trattazione; come argomento conduttore fu svolto per primo sulla carta il problema delle esigenze di servizio nelle loro più vaste e desiderate possibilità; come argomento subordinato si sviluppò la macchina aerea attorno a questo nucleo.

L'architettura che ne derivò esprime il travaglio delle difficoltà affrontate e risolte per rendere possibile un connubio di elementi antitetici sia con vantaggio aerodinamico, sia con vantaggio utilitario. Il suo complesso veramente originale, e alquanto bizzarro a quei tempi, ebbe un pregio sovratutto e forse un primato che io rivendico e difendo: quello dell'assoluta razionalità. Nulla vi è di caratteristico nell'S. 55 che non abbia la sua ragione di essere in una ponderata convenienza funzionale.

Questa razionalità programmatica, non riuscendo intuitiva a colpo d'occhio, fu la causa prima di un cumulo di critiche e di avversioni.

E' al contrario facile comprenderla nella ricognizione degli ardui problemi risolti in tale macchina, problemi intorno ai quali anche oggi, dopo die-ci anni, la tecnica mondiale non ha creato macchine di maggior progresso.

Le risoluzioni più importanti furono queste:
a) Postazione, che si può dire perfetta, baricentrica, facile ed ampia del carico di lancio il più vario.
b) Armamento di difesa (8 mitragliere) senza settori morti di tiro, di efficienza sovrabbondante.
c) Tenuta d'alto mare di sicurezza • oceanica ».
d) lnsommergibilità della struttura cellulare.
e) Potenza di decollaggio, velocità, stabilità in aria, quanto la migliore macchina.
f) Costruzione economica, facile, durevole, quasi rude nelle parti vulnerabili.
g) Aggiungo un ultimo requisito ehe specialmente ricercai, di cui solo l'uso di Guerra avrebbe dato l'intero valore: quello della decomponibilità in elementi, talchè qualsiasi parte avariata, non dico secondaria, ma principale, come gli scafi, i motori, le ali, avesse potuto intercambiarsi nel tempo massimo di due giorni di lavoro.

Questo complesso non comune di vantaggi riuniti, scaturì come corollario del concetto dominante che il « fisico del ruolo » in tale macchina fosse realizzato in ogni modo e in ogni caso, spregiudicatamente da ogni estetismo, da ogni scuola, da ogni consuetudine invalsa.

Dirò ora quel che mi accadde per avere marciato contro corrente e quanto sia stato difficile, ahimè, introdurre e difendere un'idea originale.

L'S. 55 prototipo usci in volo nel 1923 dopo un anno di lavoro e debuttò felicemente dando smentita ad un'infatuazione di pessimismi che con carità del tutto gratuita, me lo profetavano e me lo compiangevano come nato morto.

Ciò non bastò a nulla. La legge di inerzia che nel campo dell'intelligenza si identifica nel culto del « luogo comune » creò una situazione estremamente difficile intorno all'apparecchio anche dopo l'affermazione del suo debutto.

Si credette allora e ancor oggi, in parte un pochino si crede, che quell'architettura inusitata fosse una stramberia superflua buttata giù a sentimento nella inconfessata ricerca di distinguersi, di essere originale se anche di cattivo gusto. Tutti i buongu-stai dell'estetica aviforme insorsero contro l'S. 55 ed il suo costruttore.

Sono costoro in verità la parte più attiva e più passionale dell'aviazione; sono purtroppo quei medesimi per cui la macchina aerea non può e non deve esistere che nella forma ortodossa magnificamente suggestiva che la natura ha conferito agli uccelli; e argomentano con perfetta convinzione che nello stesso modo che l'avvoltoio rimarrà sempre un inarrivabile cam-pione di maestria per i piloti, cosi esso debba rimanere il modello impareggiabile per i costruttori.

L'S. 55 ebbe per costoro due imperdonabili torti:
1) Quello che il corpo o fusoliera non arrivasse fino alla coda come negli uccelli.
2) Che il motore non fosse racchiuso nel petto o quanto meno nell'ala, ma che insistesse sulla groppa dell'apparecchio nell'attitudine incoerente di un animale a sei gambe che si lancia nel vuoto da un trampolino.

Se io dicessi che le travi di coda proprio mi piacessero e che il mio gruppo motopropulsore mi suggerisse l'atto con cui passò alla storia la ammirazione di Michelangelo verso l'impareggiabile bellezza del suo Mosè direi cosa non sincera. Più propriamente li detestavo. In me stesso la passione per il volo era entrata per gli occhi come sensazione di insuperabile bellezza nelle lunghe ore che ammiravo estatico i falchi, dai monti che degradano al mare dove ho vissuto fanciullo anni indimenticabili.

Ma le ribellioni che il castello e le travi mi suscitavano a prima vista, avevano il vantaggio di placarsi all'istante solo che risalissi il processo mentale dei trapassi logici che mi avevano condotto a quella costruzione. Una tale persuasione non sono riuscito a comunicare ai miei contradditori.

Inutilmente ho spiegato allora ai buongustai dell'estetica aviforme, che le travi di coda nell'S. 55 si impongono come « soluzione ottima »; come quella che consente di sopportare col minimo peso, col minimo delle resistenze passive, col minimo del costo, sistema degli impennaggi di coda nella posizone più utile per la sicurezza nell'acqua e per la efficienza nel volo.

Inutilmente insistetti che il gruppo motopropulsore e nella posizione incomparabilmente la più vantaggiosa, sia dal punto di vista della praticita per la distanza dall'acqua, per il disimpegno del contesto delle membrature alari in caso di avaria, sia per l'intercambiabilità immediata dal gruppo intero, sia sovratutto per il rendimento aerodinamico. Perchè se può consentirsi che i motori piazzati all'interno dell'apparecchio in ambiente accessibile alla manutenzione durante il volo, conferiscano maggior sicurezza e minor resistenza al moto, quella dell'S. 55 è indubbiamente la migliore postazione aerodinamica per le eliche. Esse hanno il pregio di accelerare la circuitazione nel contorno del profilo, di elevare il valore dell'angolo critico di caduta di portanza, di non proiettare il flusso del loro vortice su parti ingombranti che ne pregiudichino il rendimento.

Niente è cosi difficile a smontare come un'avversione istintiva e quindi sincerissima. Di più il « puro razio-nale » è solitamente privo di fascino. Mentre cosa di tutti i giorni, l'esal-tazione di qualche disegno profetico in cui l'aeroplano dell'avvenire è rappresentato nella perfetta linea di immenso uccello che tutto contiene dentro le ali capaci, leggiadramente adorno dell'eresia aerodinamica di una serie di fiorellini disegnati sul bordo di attacco che dovrebbero essere le eliche e che dimostrano risolto in pieno il problema del farsi vento sulla pancia.

Questi organi di propulsione che scaricano la loro spinta sullo stesso corpo da trainare, perpetuano la storiella di quel Cinese che si tirava in alto il codino con le mani per pesare di meno.

La fioritura di castelli sopra devoti all'ala, sbocciati dopo il felice esperimento da me fattone sull'S. 55, ha non di meno dimostrato che non a tutti è sfuggito il grande complesso di vantaggi che esso conferisce sovratutto negli idrovolanti.

Quanto alle travi di coda, ahimè, dell'S. 55, la più illustre personalità della scienza aerodinamica in Italia, onorandomi della sua confidenza, me li qualificò cosi: « è un caso di ozio mentale », e ridemmo ambedue.

In verità, io non mi preoccupo di persuadere gli altri, sono grato alla sorte se mi consente di superare gli avversari nelle prove, e, al postutto, apprezzo il vantaggio di non essere copiato.

Sul tema degli errori istruttivi ed oggi risibili, merita che io ricordi anche l'opposzione dei critici pseudotecnici, quelli delle demolizioni. Essi scoprirono nell'S. 55 un'altra assurdità: il doppio scafo.

La logica della loro argomentazione, ancor oggi mi sfugge. Perchè se gli scafi dell'S. 55 fossero stati distanziati dall'ala con qualche montante, invece che fusi con essa, tali critici avrebbe-ro riconosciuto ed accettato senz'altro un sistema a due galleggianti già noto e favorevolmente in uso.

Ma poichè tali galleggianti erano da me sfruttati nella loro capacità interna e mi rendevano servigio di « scafo », vantaggio che mi permise di abolire la fusoliera; e poiché tali galleggianti io avevo raccordato alla ala per abbinare il rendimento aerodinamico a quello di servizio, e poiché questo complesso ebbe la sua denominazione più propria nella dizione di « doppio scafo » pur rimanendo sostanzialmente un doppio galleggiante, i critici che in questo caso nulla avrebbero trovato da eccepire, con logica incredibile lo misero sotto processo nella diversa dizione di « doppio scafo », come fatto nuovo e sospetto.

Essi conclusero che, stante la superficie normalmente ondulata del mare, considerata l'impossibilità di imbroccare in tali condizioni una presa di contatto contemporanea sull'acqua per ambedue gli scafi, l'ammaraggio di un tale sistema avrebbe dovuto concludersi in una serie di rimbalzi alterni tra uno scafo e l'altro con pre-giudizio assoluto della sicurezza e del-la praticità nientedimeno!

Non io, ma l'esperienza ha dimostrato in seguito che nessun altro sistema può essere eguagliato al doppio scafo come convenienza di servizio d'alto mare, e nessun altro consegue una pari sicurezza per le velature dagli investimenti dei marosi.

Ora racconto l'ultima, quella che con il peso che le veniva dall'altezza da cui emanava diede il tracollo alla bilancia della vita e della morte del povero S. 55: fu sentenziato in un memorabile documento che « le ali in legno di quella forma e di quella dimensione non potessero costruirsi perché destinate a svergolarsi e rendersi inutili dopo breve tempo ».

Nessuno si meraviglierà più, se sotto cotanto stato di accuse, l'S. 55 fu condannato.

Il documento che ne decretava la scomparsa portava questa frase: « Non si giudica interessante e non merita di riprodurlo oltre il primo esemplare ».

Cosi mori l'S. 55.

Non è senza significato che esso rinascesse alla vita nel 1926, quando cambiati gli uomini, l'Aviazione ltaliana acquisì la dignità definitiva del suo attuale assetto.

Avvenne per l'S. 55 il capovolgimento più completo di situazione che avesse potuto vagheggiare il suo ideatore. E sebbene io sappia che le preferenze date a questa macchina troppo collimavano con l'interesse dello Stato, perchè io potessi vedervi alcunche di personale a mio riguardo, non posso a meno di pensare con infinita gratitudine agli uomini che ebbero quella visione esatta delle circostanze che consentisse di emendare un errore, certo non voluto, ma terribilmente mortificante per un Costruttore.

L'S. 55 rispose alla fiducia conquistando nel 1926 14 records di altezza, carico e velocità. Era, in quelle prove, fornito di nuovi motori Asso 500 Isotta Fraschini.

Attraverso le successive riproduzioni che l'interessamento Ministeriale consenti, mi fu possibile realizzare un progressivo continuo perfezionamento della macchina rendendola adatta a sempre maggiormente osare.

Nel 1927 il Generale De Pinedo compi la doppia traversata dell'Atlantico col circuito Roma-Buenos Ayres-Chicago-Trepassey-Azzorre-Roma con idrovolante S. 55. I motori furono ancora gli Asso 500 HP. L'equipaggio era composto dal Gen. De Pinedo, dal compianto Maggiore del Prete e dal motorista Zacchelti.

L'apparecchio aveva allora una ve-locità di 210 km/h ed un'autonomia massima di 3200 chilometri, appena sufficienti alla prova osata con grande audacia.

L'anno seguente, nel 1928 l'equipaggio brasiliano De Barros — Braga conduce a termine con un S. 55 una Transvolata Itaia-Brasile, piena di peripezie.

Nel 1929, sotto la guida del compianto Comandante Maddalena, un S. 55 dello stesso modello effettuò le memorabili ricognizioni sui ghiacci polari riuscendo in un mirabile con-corso d abilità, di arditezza e di for-tuna, a ritrovare la tenda rossa dei naufraghi dell' « Italia » decidendone la salvezza.

Nello stesso anno, con un crescendo che è oggetto all'estero di stupita ammirazione, le grandi manovre dell'Aeronautica Italiana sono compiute da una poderosa formazione di N. 31 S. 55 sotto il comando del Ministro stesso dell'Aeronautica. Il periplo: Taranto, Atene, Costantinopoli, Varna, Odessa, Costanza, Costantinopoli, Atene, Taranto, fu degno di macchine e di uomini capaci di ogni ardimento; e l'episodio terribilmente epico dell'uragano di oltre 120 km/h che sor-prese le squadriglie in mare aperto, e si concluse senza tragedie unicamente per merito di uomini e di mezzi, portò la fiducia già grande dell'S. 55 ad un'altezza che il Costruttore non può considerare senza commozione.

Troviamo nel 1930 l'S. 55 migliorato nelle sue capacità di carico, di autonomia e di velocità. Con i motori Fiat A. 22 R. con gli scafi nuovo modello, con i rinforzi diffusi ovunque, esso tocca i 225 km/h di velocità, ha una potenza di decollaggio di 5000 kg. utili ed un'autonomia massima dí 3500 km. a velocità di crociera. E' ormai la macchina di piena fiducia, l'apparecchio rapresentativo dell'Aeronautica Fascista. Su di essa si giuocherà la carta ambiziosa di un'affermazione ufficiale nel mondo. La traversata Roma-Brasile si compi nel 1930 per la prima volta nella storia, da una squadriglia di 12 idrovolanti S. 55 capitanati, episodio senza precedenti, dallo stesso Ministro S. E. Italo Balbo.

Nel 1933 essa è la macchina fedelissima su cui l'Aviazione Fascista oserà la dimostrazione portentosa di una squadra di 24 apparecchi in Trasvolata da Roma-Chicago e ritorno, attraverso zone notoriarnente avverse, irte di difficoltà meteorologiche, e che dalla superiorità con cui saranno dominate, daranno una prova palmare del valore cui è giunta l'Aviazione Italiana nei suoi uomini e nei suoi mezzi.

L'S. 55 di questa impresa è il modello X e fu preparato alla grande prova con cura e con mezzi del tutto speciali.

Il cavallo di battaglia, il buon militare, deposte bardature ed armamenti, ha generato un purissimo corsiero. Cosi nudo da ogni impaccio esso rammenta, come nessun altro della sua stirpe, quel disgraziato S. 55 primo del 1923, e mantiene oggi, quello che l'altro promise quando, con 600 HP. di potenza complessiva, meraviglia, ma non persuase, con i suoi 195 km/h di velocità.

Il modello X, fornito di motori Isotta-Fraschini -- 1600 HP. di potenza, tocca i 280 km/h. e alla ragguardevole velocità di 240 km/h può coprire, con 1000 kg. utili a bordo, una distanza di oltre 4000 km., con un consumo medio chilometrico che non supera un chilogrammo. Risultato imponente.

Il nuovo apparecchio sceverato di ogni superfluo accessorio, rinforzato ed affinato, è tutto muscolo, è tutta potenza, tutta velocità come un atleta olimpionico. Un corpo di allenatori composto di tecnici esperti, che ebbero da S. E. il Ministro la responsabilità di prepararlo al cimento, ne cura 11 respiro, lo leviga, lo adorna, lo veglia con la stessa gelosa cura con cui si custodiscono a Siena, prima del Palio, i cavalli corridori delle contrade. Mai preparazione più coscienziosa.

La fede che questi Fiduciari hanno nella macchina, supera direi la mia. Mai si e guardato con più fermo cuore e con più tranquilla sicurezza alla portentosa avventura del domani. Assolutamente nulla vi è di imprevisto in essa, nulla vi sarà di improvvisato.

Gli uomini, eroi di cosciente ardimento, le macchine sicure, son giunti a questa altezza per frutto di volontà nel tempo, per costanza di disciplina, già temprati dai cimenti, già affinati dall'esperienza.

Se a questa impresa io dovessi dare un motto che più attingesse alle origini prime del successo, scriverei solo cosi: « Perseveranza».

Gli artefici e i piloti ugualmente lo meritano.

ALESSANDRO MARCHETTI